L’IPERPLASIA PROSTATICA BENIGNA

L’IPERPLASIA PROSTATICA BENIGNA

 

 

L’ipertrofia prostatica benigna è la patologia che si riscontra più frequentemente in urologia.

La sua manifestazione clinica di norma avviene dopo i 45 anni, sebbene le prime alterazioni istologiche tipiche della malattia siano osservabili già nel terzo decennio di vita.

L’incidenza aumenta proporzionalmente con il avanzare dell’età, raggiungendo i massimi livelli nell’ottavo decennio di vita . Tuttavia, solo la metà dei soggetti affetti da IPB accusa disturbi tali da richiedere un intervento chirurgico o endoscopico. Non stati identificati finora con certezza quali siano i fattori di rischio connessi allo sviluppo della malattia.

Sicuramente predomina  la natura endocrino-dipendente della malattia.

Attualmente si ritiene che l’IPB sia soprattutto una malattia stromale, per via del fatto che l’iperplasia interessa inizialmente il tessuto fibro-muscolare e solo secondariamente la componente epiteliale della ghiandola. I recettori per gli androgeni sono più rappresentati nell’epitelio che nello stroma ghiandolare, mentre lo stroma fibro-muscolare è più sensibile all’effetto degli estrogeni.

Queste osservazioni avvalorate dal fatto che l’IPB si manifesta di solito in età adulta o avanzata quando aumenta nella circolazione sistemica il rapporto tra estrogeni ed androgeni sembrano spostare l’attenzione sulla componente estrogenica. Il ruolo degli estrogeni potrebbe essere quello di stimolare l’iperplasia stromale, che a sua volta indurrebbe l’iperplasia epiteliale. Un altro

importante effetto degli estrogeni è rappresentato dall’aumento numerico dei recettori per gli androgeni nella prostata. In base a tutte queste osservazioni non è escluso che le due componenti ormonali possano agire in sinergia.

Per indagare accuratamente sull’entità dell’IPB oltre ad un’anamnesi completa attenta alle abitudini alimentari e sessuali, all’assunzioni di farmaci, all’attività lavorativa e a precedenti morbosi sono stati messi a punto dei sistemi scalari di punteggio, che tengono conto dei sintomi, ma anche della qualità della vita dei pazienti. Tra questi il più utilizzato è l’International Prostatic Symptoms Score (IPSS). La diagnosi effettuata dai medici specializzati prevede un esame obiettivo che include l’esplorazione rettale, esami urodinamici, esami di laboratorio, esami radiologici ed endoscopici e l’ecografia addomino-pelvica.

Gli esami urodinamici sono molto usati anche nella valutazione dell’efficacia di farmaci ed altri medicamenti sull’IPB. L’uroflussometria consiste nella registrazione elettronica del volume di urina emesso dall’uretra nell’unità di tempo e permette di stabilire la velocità del flusso urinario al picco.

Gli esami di laboratorio consistono nella stima di parametri ematochimici di funzione  renale,quali: creatinina, urea, acido urico ed elettroliti e nella valutazione dei livelli serici dell’antigene specifico prostatico (PSA); a completamento di tali indagini è consigliabile effettuare un esame

delle urine.Con l’ecografia si stima il volume di urine residuo successivo allo svuotamento vescicale.

TERAPIA

Nelle fasi iniziali, quando i sintomi sono lievi o moderati è indicata in linea di massima una terapia medica, in grado di migliorare la sintomatologia soggettiva ed eventualmente anche parametri come uroflussometria, residuo vescicale post-minzionale, dimensione della prostata. Il primo approccio terapeutico si avvale di farmaci alfa-adrenolitici come: alfuzosina, terazosina, tamsulosina. Se la prostata supera i 50 g la terapia elettiva prevede l’impiego di un alfa-adrenolitico associato a finasteride, mepartricina e ad estratti vegetali (Serenoa repens, Urtica dioica,Pygeum africanum,)

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